Se una notte d'estate una viaggiatrice

Ogni tanto mi tornano in mente, non so perché, ma succede. Forse perché é stato il primo viaggio fuori dall'Europa, forse perché di volti così segnati dalla vita non mi era capitato mai di vederne, se non nei film. E' sera, i pullman che percorrono le tratte più lunghe partono sempre di sera in Turchia, viaggiano di notte in modo da poter evitare il traffico. Ero convinta che avremmo preso la stessa strada dell'andata per tornare ad Istanbul, stavo male al solo pensiero di quell'ultimo tratto di curve in mezzo ai boschi prima di arrivare alla laguna, che stavolta mi sarebbe toccato sopportare all'inizio del viaggio. Invece prendemmo tutt'altra strada, non quella costiera ma quella centrale, quella che passa per i villaggi in cui la gente usa ancora la carriola e i carretti trainati dagli animali, in cui le case sono misere e le strade interne sono ancora di terra battuta. Era notte e sentivo il freddo scendere dalle montagne che vedevamo al nostro passaggio, mi intristiva tutta quella povertà che mi circondava, capivo che in tre settimane avevo solo sfiorato la vera realtà turca. Una parte di questa realtà mi stava accanto proprio sul sedile del pullman: un uomo di un'età indefinita, avrebbe potuto avere quaranta o cinquant'anni era salito poco prima della partenza insieme ad una bambina di circa tre anni, sembravano entrambi molto affaticati ma, se sul volto della bimba comunque c'era la serenità tipica della sua età, su quello del padre si leggeva una grande preoccupazione. Posto per tutti e due non ce n'era sul pullman ma li avevano fatti salire lo stesso, in fondo sul sedile da cinque dividevano l'unico rimasto libero, una sulle ginocchia dell'altro. Guardandoli mi tornavano alle mente tanti viaggi fatti con il mio papà, in treno e in autobus, quando cercavamo di non occupare due posti se era troppo pieno e c'era gente in piedi. Dopo qualche ora di viaggio un ragazzo seduto accanto a loro offrì le sue ginocchia per far sdraiare la bambina e lei finalmente poté prendere sonno. Lui no, dormì poco, solo a tratti, si capiva che qualcosa lo agitava. Li vidi scendere che era già l'alba, qualche chilometro prima del casello per Istanbul, non capivo dove fossero diretti perché non c'era nulla lì, probabilmente avevano ancora un tratto a piedi da fare. E infatti di incamminarono insieme, mano nella mano, verso la loro destinazione. Quando penso alla parola dignità ripenso a loro, al loro silenzio composto, alla tenerezza che si scambiavano anche solo con gli sguardi, nell'attesa di affrontare qualcosa di doloroso e inevitabile.

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