L'Alguer - Quando sentivo mio nonno parlare catalano


Eccola la mia Barceloneta, la città in cui da piccola ho imparato cosa significa "bilingue" : ogni via ha due nomi, quello italiano e quello catalano, i vecchi parlano ancora un dialetto che col sardo non c'entra nulla ed è invece una versione isolana di quello che gli abitanti di Barcellona difendono con gli artigli come simbolo di indipendenza dalla capitale castigliana. Sul lungomare di Alghero ci ho passato serate intere, dal porto alle scogliere che proseguono per Bosa, negli ultimi anni dell'infanzia erano già arrivati i primi immigrati, senegalesi talmente portati per l'apprendimento delle lingue che dopo pochi mesi vendevano borse ed altri accessori utilizzando sia l'italiano che il catalano. Mi ricordo la luce del faro di Capo Caccia e la traversata in barca per arrivare alle Grotte di Nettuno, i vicoli della città antica, la finestra della casa in cui è nata mia madre, che se la apri non vedi il mare ma lo senti perchè batte contro i bastioni a pochi metri da lì.


Mi ricordo le luci delle barche di notte, le nasse appese ad asciugare sugli usci delle case, l'odore forte del pesce all'ingresso del mercato, la mano di mio nonno che stringe la mia e mi racconta degli anni del Ginnasio, della guerra, del dopoguerra in campo di rieducazione, del ritorno sull'Isola. E intorno a tutto il mare, sempre lui, con quel verde smeraldo che in certi giorni acceca gli occhi, con il battito ritmico della risacca, con quelle alghe che butta a riva incurante di ogni cosa, le alghe, L'Alguer. 

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